Ancora un ingorgo della logistica mondiale? Bye Bye delocalizzazione!

08/05/22 - 2 minuti di lettura

Il commercio mondiale, che vale 22 trilioni di dollari e che dopo la crisi del 2020 era velocemente risalito, è di nuovo ingorgato dalle rigide -e giustificate- regole cinesi per frenare la diffusione del Covid. Le catene delle merci tra Asia, Americhe e Europa sono bloccate tra Shanghai, Ningbo, Shenzen e altri porti, e a questi blocchi si sono aggiunti quelli causati dalla guerra russo-ucraina. Le interruzioni delle logistiche internazionali si diffonderanno a livello globale – e si estenderanno per tutto l’anno – quando le navi mercantili ammassate riprenderanno a navigare.

“Gli esperti e noi siamo d’accordo -ha affermato di recente Jacques Vandermeiren, Ad del porto di Anversa, il secondo più trafficato d’Europa per volume di container- prevedono un caos ancora peggiore rispetto a quello dell’anno scorso – E quando l’esportazione delle merci riprenderà verso i porti americani e europei i tempi di attesa aumenteranno in misura esponenziale, secondo quanto ha dichiarato di recente Julie Gerdeman, CEO della società di analisi del rischio della catena di approvvigionamento Everstream Analytics. Il problema avrà infatti una diabolica “coda”, dovuta ad un altro gigantesco ingorgo, quello dei tir che dovranno scaricare le merci dai porti e quindi partire per le destinazioni più diverse. Il tutto con dimensioni, numeri e ingombri di portata impressionante.Quanto agli effetti sulle diverse aree di destinazione, è l’Europa ad subìre già da ora le conseguenze più pesanti poiché -come ha sottolineato la presidente della BCE Christine Lagarde- l’integrazione dell’Europa nelle catene del valore globali è ancora più profonda di quella degli Stati Uniti. Il commercio come quota del prodotto interno lordo dell’area dell’euro è salito al 54% nel 2019 dal 31% di due decenni prima, rispetto all’aumento di 3 punti percentuali dell’America al 26%.Ci vogliono quasi 118 giorni da record prima che le merci raggiungano un magazzino in Europa dal momento in cui sono pronte a lasciare una fabbrica asiatica”. Va inoltre ricordato che tre quarti dei grandi manager delle aziende americane ha-con un gigantesco ritardo- riconosciuto con un giro di parole particolarmente ipocrita che bisogna accelerare la regionalizzazione delle catene di approvvigionamento. Molto più efficacemente e proprio in questi giorni la società di consulenza Kearney hatradotto questoa frase, rivelando che il 78% degli amministratori delegati sta prendendo in considerazione il reshoring o l’ha già fatto. E se si considera che la Cina, da sola, vale il 12 per cento del commercio mondiale, risulta chiaro un trend inarrestabile: la globalizzazione che ha reso più ricchi i paesi ricchi e più poveri quelli poveri, sta ora creando problemi anche alle multinazionali che dalla globalizzazione selvaggia e schiavizzante hanno tratto enormi -e spesso sconosciuti perchè nascosti in paradisi fiscali- profitti. Poiché i loro profitti stanno accusando leggerissimi scostamenti, la globalizzazione -fanno dichiarare ai loro portavoce-è al termine o perlomeno avrà un consistente ridimensionamento.

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