Abbiamo la legislazione alimentare più severa oggi esistente e non solo in Europa e il maggior numero di controlli sulla filiera alimentare. Ma importiamo quantità crescenti di prodotti alimentare in gran parte “trattati”. “Trattati” come? Beh, ecco cosa ospitano i cibi non made in Italy. L’E 230, ovvero il Difenile, è proibito in Italia (occorre una speciale autorizzazione del Ministero della Salute) ma è usato in tutta Europa per bloccare la muffa degli agrumi e viene sparso, oltre che sulla buccia, anche nelle cartine colorate che li avvolgono e nelle cassette che li contengono. E’ dannoso, fa molto male e non c’è nessuna certezza che non penetri all’interno degli agrumi. Dal Nord Africa e dalla Spagna arrivano invece arance e mandaranci zeppi di questo veleno. E233 ovvero Tiebendazolo vietato in Italia, arriva in quantità spaventose contenuto negli agrumi, nelle verdure e nelle banane europee, africane, americane e dell’America latina. E’ molto molto tossico. E 231 ovvero Ortofenilfenolo (richiede una speciale autorizzazone del Ministero per la sua tossicità) viene importato come antimicrobico dai paesi che lo consentono. Vi sono poi degli sticker israeliani che vengono inseriti nel packaging, a contatto con l’umidità e che rilasciano gas antimicrobici. E ora attenzione: tutti questi veleni e molto di più come gli antibiotici e gli antinfiammatori in quantità enormi, sono sempre presenti nei prodotti agricoli e di origine animale che arrivano dai paesi dell’Est Europa dove da decenni sono stati eliminati o ridotti i controlli e soprattutto liberalizzati i ricorsi a sostanze e trattamenti tossici. Queste che vi abbiamo elencato in dettaglio, sono solo pochissime delle tante sostanze tossiche che la nostra legislazione proibisce ma che importiamo e mangiamo a tonnellate. E allora? Finalmente gli italiani, pur nella loro ignoranza cominciano a rendersi conto che il food migliore è quello italiano, fresco possibilmente, e comprano sempre di più alimentari del Bel Paese. Con tutti i difetti, i problemi, le carenze che la filiera agroalimentare italiana può avere, è sempre la migliore. O, perlomeno, la meno peggio delle altre.