Gli inquietanti retroscena dietro il crollo del ponte di Baltimora

02/04/24 - 3 minuti di lettura

 

Il porto di  Baltimora, che si trova sulla costa orientale degli Stati Uniti, è il primo del Paese per l’import e l’export di auto e autocarri leggeri e trattori agricoli, oltre che per elettrodomestici, abbigliamento e mobili. Il crollo del ponte Francis Scott, provocato dalla gigantesca portacontainer Dali, sta costringendo le autorità portuali a spostare, non si sa per quanto, tutto il traffico verso altri porti e questo provocherà enormi aggravi di costi delle merci e aumenti dei tempi di consegna. Il sindaco di Baltimora ha affermato –con cognizione di causa- che il blocco avrà dimensioni globali, abbattendosi su una già sconvolta crisi della logistica mondiale alle prese con assalti di pirati, Houti, guerre e cambiamenti climatici. Ma, come risulta dalle analisi di esperti e giornalisti americani e da informazioni riservate, è in realtà una delle perniciose conseguenze che da anni l’Europa e il mondo stanno pagando per alcune dissennate decisioni dei governi anglo-americani e della Nato. Oltre che, ma in misura minore, dalla crescita aggressiva dell’export cinese. Per punti ecco cosa significa l’ennesimo blocco dei trasporti  mondiali:

1-Perché Baltimora, che si trova sulla costa orientale degli Usa, che dà sull’Atlantico, rappresenta per la Cina, che sta sulla costa del Pacifico, il secondo partner commerciale di Baltimora e il terzo in tonnellaggio per le esportazioni? Insistiamo: la Cina si trova molto molto molto più vicina alla costa occidentale, quella sul Pacifico. Se la geografia non è un’opinione si tratta di un gigantesco, costosissimo allungamento delle rotte commerciali navali.

2-Da Baltimora, che è –ripetiamo- sulla costa che dà sull’Atlantico, partono anche le enormi esportazioni del carbone americano verso India, Cina, Giappone e Corea del Sud che stanno sulla sponda del Pacifico, molto più vicina alla costa occidentale americana che ha –tra l’altro-diversi importantissimi porti. Incredibile, il carbone che arriva anche in alcuni paesi europei, arriva gravato da rincari pazzeschi. Se qualcuno non l’ha capito, paghiamo noi per l’ennesima volta questa follia logistica americana.

3-Prima delle tensioni USA-Cina, la stragrande maggioranza dell’export cinese arrivava ai porti sul Pacifico, e anche gli interscambi con gli altri paesi asiatici seguivano lo stesso percorso. Ma poi, per colpire la Cina, i governi americani hanno innanzitutto e di molto ridotto l’import da quel paese, trasferendo altresì sulla costa orientale molti traffici, colpendo stupidamente anche gli scambi con i paesi amici dell’Asia. Ovviamente con aggravi di costi ed i tempi che paghiamo tutti.

4-“Questa è una pessima  notizia per le catene dell’approvvigionamento globale-afferma un esperto Usa-poiché i porti della costa orientale degli Stati Uniti sono diventati più importanti con la spinta di Whashington per il friendshoring”. E così per la prima volta le esportazioni cinesi verso gli USA sono scese. La conseguenza è arrivata subito: danni enormi per l’Europa  a causa del dumping di gigantesche quantità di merci e prodotti cinesi che, come CNN e i principali media occidentali hanno denunciato, stanno inondando i nostri mercati..

Conclusione: ogni aggravamento di costi e di percorsi della logistica regionale va a gravare sui costi e i tempi di tutta la filiera globale. Come hanno dimostrato i blocchi provocati da guerre, assalti di pirati, di terroristi di questi anni. Ma a pagarli sono soprattutto gli europei.

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