Il sospetto, per dirla in sintesi, l’avevamo da tempo. E cioè che valga ancora il detto “piccolo è bello” e che al massimo, per dirla con il mai abbastanza rimpianto Vittorio Merloni, “multinazionale tascabile è meglio”. Meglio –forse-di alcuni grandissimi gruppi, multinazionali e conglomerate in gran parte stranieri che oggi ci sono ma che quando decidono di aver guadagnato abbastanza se ne vanno, lasciando disastri, disoccupazione e portando via brevetti e profitti. Le celebrazioni starnazzanti dei quotidiani e delle tv per le grandi imprese, le multinazionali, i “big di qua e di là”, sono sempre state eccessive, forse dettate da sottintesi contratti di advertising oltre che da informazioni troppo banalizzate. E adesso ci sono anche i dati a raccontare qualcosa di diverso.
Petizione per le PMI-Il 13 gennaio su questo blog abbiamo pubblicato una petizione rivolta agli export manager per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese italiane che costituiscono, come accade del resto in tutta Europa, la struttura portante dell’economia e in particolare dell’export. A inviarcela è stato Antonio Guerrini, a lungo al vertice dell’associazione confindustriale che riuniva, prima come CECED e poi come APPLIA Italia, le imprese del comparto degli elettrodomestici per decenni caratterizzato da una eccezionale propensione alla internazionalizzazione con punte di export oltre l’80 per cento. Ma, mentre le grandi aziende che componevano questo settore venivano man mano acquisite dalle multinazionali loro competitor, o chiudevano fabbriche e mercati, gran parte delle piccole e medie aziende sono invece riuscite a superare le difficoltà ricorrenti di una concorrenza internazionale sempre più difficile. La differenza? Una buona parte dei grandi produttori italiani ha smesso negli anni 80 di investire in innovazione (meglio le speculazioni immobiliari o finanziarie…) mentre le dimensioni molto “compatte” delle PIM le hanno costrette a inventare e innovare continuamente e a diventare export-oriented. Ma ora le crisi ricorrenti, i dumping sistemici asiatici favoriti da un retail perlomeno inadeguato, e infine, il crollo delle esportazioni a causa del Covid, hanno indebolito anche le PMI. Eppure la vocazione alle esportazioni delle nostre micro aziende è ancora molto forte tant’è vero che sono proprio loro ad aver reagito meglio in questi mesi terribili mantenendo contatti, correnti di esportazione, creando al posto delle Fiere, markeplace virtuali con velocità sorprendente, presentando infine novità sempre interessanti. A vincere cioè è la dimensione flessibile, il made in Italy tra l’artigianale e l’industriale, tra la tecnologia più sofisticata ricca di brevetti e l’esecuzione customerizzata sino al micro-dettaglio che nessuno al mondo riuscirà mai a imitare. Gloria Zambelli, su Export Planning, in un articolo-inchiesta di esemplare precisione, lo ha dimostrato, su dati raccolti da Eurostat e ISTAT arrivando a questa conclusione: “…..Da questa panoramica emerge la peculiarità dell’Italia di avere un numero di piccole imprese esportatrici che non ha eguali rispetto agli altri paesi: in particolare osserviamo che il peso delle esportazioni italiane nella fascia compresa tra i 10 e 59 addetti è stato pari, nel 2018 al 17% del totale”. Si tratta del valore massimo in Europa. Inoltre il peso del totale della fascia PMI, e cioè delle piccole, medio-piccole e medie società sino ad un numero di addetti di 249 sulle vendite estere del made in Italy, supera quello delle grandi imprese mentre in Francia e per la Germania è l’inverso.
Vincono anche in qualità-La forza del made in Italy delle PMI è dovuto ad un valore non solo in termini di numeri ma anche di qualità, essendo il valore medio esportato pari a 13 milioni di euro per l’Italia -sottolinea Zambelli- secondo solo alla Svizzera con 21 milioni di euro. Ecco perché è assolutamente necessario sostenere le PMI nella ripresa con politiche di sostegno alle esportazioni, ovviamente anche alle grandi aziende, ma soprattutto alla miriade di…pullulanti distretti di formidabili produttori di hardware e software unici, sgallettanti come pochi: anche perché aveva ragione Matteo Renzi quando, tornando dai suoi viaggi di promozione dell’Italia nel mondo, continuava a ripetere che in tutti i continenti c’è una crescente, straordinaria e disattesa domanda dei prodotti e dei servizi del nostro paese. Aveva ragione a ripeterlo e non solo in quello, ovviamente.