L’oggettività della scienza è d’accordo: l’immunità di gregge di Jhonson è pura fantascienza. Su Linkiesta del 14 marzo lo scienziato Roberto Burioni è stato intervistato da Pietro Micarozzi sugli scottanti e attuali argomenti e sulle fake news (l’ultima, quella del Johnson, quello della Brexit) che rendono tanto inquietante il pianeta-coronavirus. Ecco il testo. Se siete di tempra fragile -e in questi tempi lo siamo un po’ tutti- girate per così dire la pagina. Non leggete…
Per il governo britannico è necessario che il virus circoli nel Paese in modo da sviluppare gli anticorpi nella popolazione. Il virologo: «Non ha senso parlarne. Primo perché non abbiamo un vaccino e secondo perché non sappiamo se l’infezione conferisce tale resistenza»
La strategia di contenimento dell’epidemia del governo britannico considera necessario che il coronavirus circoli per la nazione in modo da sviluppare anticorpi e far innescare l’immunità di gregge nella popolazione. «Abituatevi a perdere i vostri cari» è stata la frase choc pronunciata ieri dal primo ministro britannico Boris Johnson. Una scelta coraggiosa che, tuttavia, al momento ha riscosso dure critiche sia dall’opinione pubblica sia dalla fronda scientifica. A partire proprio dal virologo Roberto Burioni.
Professor
Burioni, in questi giorni, sopratutto nel Regno Unito, si è cominciato a
parlare di immunità di gregge…
In generale l’immunità di gregge si
verifica quando in una comunità le persone immuni a un’infezione sono talmente
tante che l’infezione stessa non riesce a circolare. Faccio un esempio.
Immaginiamoci una foresta dove è in corso un incendio, il quale si propaga da
un albero all’altro: se noi tagliamo gran parte delle piante e ne lasciamo due,
distanti dieci metri l’una dall’altra, l’incendio non si propagherà più. Il
principio è questo, come nel caso del morbillo, per il quale gran parte della
popolazione è immune in quanto vaccinata.
Quindi?
Nel caso del coronavirus, in questo preciso momento, non ha senso parlarne. Primo perché non abbiamo un vaccino e
secondo perché non sappiamo se l’infezione conferisce immunità.
Perciò la strategia di Boris Johnson potrebbe rivelarsi un boomerang?
I virus umani, in generale, trovano un equilibrio. Non infettano mai tutte le
persone, rimane sempre qualcuno immune, finché l’infezione stessa non trova
ulteriori soggetti, ovvero i nuovi nati, per alimentare il contagio. Cosa faceva
il morbillo quando non c’era il vaccino? Infettava il 90 per cento dei bambini
durante le epidemie, che si avvicendavano una volta ogni due o tre anni, per
poi tra un anno e l’altro trasmettere a basso livello endemico il contagio su
quei nuovi nati che, una volta cresciuti, continuavano a loro volta ad
alimentare il ciclo epidemico. Per tale motivo, più che un boomerang, parlare
oggi di immunità di gregge per il coronavirus è pura fantascienza.
In merito alla possibilità di poter contrarre il virus una seconda volta: in
quale forma questo si potrebbe manifestare in una persona data per guarita?
Non ci sono prove certe ancora per poter delineare gli scenari possibili. Così
come non abbiamo prove né dell’immunità e né del fatto che le persone possano
venire infettate più di una volta. I
dati preliminari sono ancora scarsi per trarre una conclusione.
La letteratura scientifica può aiutarci su questo punto?
Ci sono molte situazioni in cui una prima infezione conferisce la completa
immunità, è il caso del morbillo, e altri virus che invece si fermano quella
parziale, con un secondo “turno” che diventa meno grave, e poi ci casi in cui
l’infezione virale non conferisce nessuna immunità, come l’esempio dell’Epatite
C. Pertanto, al momento attuale, non possiamo fare nessun tipo di speculazione
su quel che accadrà con il coronavirus.
Il bollettino di ieri ha registrato 2.116 contagi e 250 decessi in più di
giovedì. Professore, a cosa andiamo incontro?
Ricordo ancora le parole che pronunciai a fine gennaio: «Le autorità europee hanno affermato che il
rischio che il virus arrivi in Europa, e in particolare in Italia, è minimo.
Io non sono per niente d’accordo con loro, ma spero vivamente di sbagliarmi».
In questo momento rimane difficile fare delle previsioni. Innanzitutto dobbiamo
lasciarci alle spalle qualsiasi tipo di polemica e fare il massimo per
arrestare il virus. Tutto diventa indispensabile. Il coronavirus c’è, e se non
contrastiamo la sua diffusione i nostri ospedali andranno in tilt e la
mortalità sarà altissima. Anche in questo caso, perciò, spero di sbagliarmi.
A che punto
siamo sul versante vaccini?
Zero. E al costo di sembrare
ripetitivo anche in questo caso spero di sbagliarmi, ma a mio avviso non
possiamo immaginarne uno prima di un anno e mezzo. Ad esempio, per la Mers, la
sindrome respiratoria medio-orientale saltata fuori nel 2012, il vaccino hanno
cominciato a sperimentarlo oggi.
Il modello di contenimento di stampo cinese è quello giusto da imitare?
Noi dovremmo prendere esempio dalla
Cina, per la decisione con cui ha affrontato e oramai quasi risolto l’epidemia,
e in particolare dalla Corea del Sud, in quanto si è mossa in maniera
estremamente intelligente e con strumenti tecnologici per affrontare con
successo l’emergenza. Come facciamo a sapere se siamo venuti in contatto
con un malato? Il governo di Moon Jae-in ha usato i cellulari per tracciare le persone contagiate, tramite telecamere di
sorveglianza e transazioni con carta di credito ha ricreato i loro percorsi
già dal giorno prima della manifestazione dei sintomi. Ci sono dei progetti
anche qui in Italia, quindi usiamoli al più presto.
C’è chi denuncerebbe delle gravi violazioni della privacy…
La privacy da morti è poco utile.
Visto che la mia viene comunque violata quotidianamente per motivi banalissimi,
in questo momento a mio giudizio abbassare un po’ il fronte della privacy, con
le dovute garanzie, è un’opzione che dovremmo prendere seriamente in
considerazione.
È fiducioso sui risultati che le misure adottate fin qui dovranno portare?
Assolutamente. Possiamo farcela, ce
la dobbiamo fare, non possiamo neanche pensare altrimenti.