Xerox va alla Fuji ma con 10mila licenziamenti

31/01/18 - 2 minuti di lettura

 

Il Financial Times che di solito non sbaglia un colpo, la considera un’operazione critica, opinione condivisa dal mondo finanziaro americano e inglese perché il settore–fotocopiatura e stampa-sono in crisi. Ma la potente Fujifilm ha annunciato di aver preso il controllo del suo partner-rivale, l’americana Xerox con la quale aveva costituito una partecipata la Fuji Xerox. La Xerox passerà ora sotto il totole controllo della società giapponese che detiene il 50,1% del capitale della rivale che viene assorbita dalla Fuji Xerox (75% controllato da Fuji) perdendo del tutto qualsiasi autonomia. E per di più con una sacrificio da qui al 2020 di oltre10mila dipendenti. Ma ovviamente i ricchi azionisti cadranno per così dire, e come sempre avviene in periodi di crisi, in piedi, ricevendo dall’operazione finanziaria circa 2,5 miliardi di dollari ovvero oltre 9,80 dollari per azione. Più licenziati, più dividendi per gli azionisti, secondo una  logica decisamente terribile. Sono i classici risultati non di operazioni industriali di ristrutturazione e rilancio ma di alchimie finanziarie nelle quali gli esperti americani e giapponesi –legati al 90% ad ambienti finanziari particolari- sono maestri. Ovviamente agli azionisti di minoranza rimane un 49% della nuova società che, se la cura di rilancio riuscirà, potrà portare ulteriori miliardari vantaggi. Che cosa vorrebbe ottenere con i 10mila tagli e qualche intervento di maquillage finanziaria di FujiFilm? Innanzitutto una riduzione di costi di 370 miliardi di euro, in un settore dove peraltro l’obsolescenza programmata è stata attuata in modo generalizzato. Quello che lascia stupiti analisti e giornalisti  è che la situazione finanziaria di Xerox non è affatto premonitrice di un futuro in sviluppo perché il settore delle fotocopiatrici e delle stampanti professionali è in netto calo e il quarto trimestre della società americana  si chiude con un altro risultato negativo. Ma stiano tranquilli gli azionisti; con altre riforme “strutturali” i dividendi si salveranno sempre.

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