Riparte la Nardi, ma in Algeria

06/07/18 - 3 minuti di lettura

 

Un altro gioiellino italiano dei majap, la Nardi, viene acquistata da una società straniera e delocalizzata. Ecco, in esclusiva per il mio blog gli sviluppi più recenti.

Fallita due volte e, nonostante la appetibilità del marchio (italiano e operante della cucina) passata da quattro aste senza acquirenti, per la storica azienda Nardi, alla fine del 2017 è arrivato il cavaliere solitario non dall’Europa ma dal Maghreb, dall’Algeria. Che ha comprato a prezzo davvero stracciato il brand salvandola da una definitiva scomparsa. E’ così che la Condor Electronicsr, fondata negli anni 50 da un abile imprenditore di Hauts Plateaux, Mohamed Tahar Benhamadi, ha sborsato nel 2017 700mila euro per un marchio che ne vale molti di più. Bravissimi a farsi avanti nel momento giusto, i Benhamadi, subito dopo l’acquisizione, hanno smontato fabbrica e linee (nel trevisano) per portarle in Algeria dove a fine luglio presenteranno il nuovo stabilimento alla stampa europea, a Bordj Bou Arrereidj. Una delocalizzazione in Algeria che consentirà di produrre le collezioni tuttora attuali di apparecchi da incasso a marchio Nardi, a prezzi competitivi e secondo il livello della qualità e del design italiani ai quali Marco Nardi, uno dei figli del fondatore dell’azienda, è sempre rimasto fedele. Quello che stupisce è che, nonostante le grandi difficoltà, con una attività industriale spesso interrotta e comunque ridotta, con numerosi licenziamenti, Nardi ha continuato a resistere, esportando quasi tutti i 700mila elettrodomestici fabbricati nello stabilimento vicino a Treviso. E’ sulla notorietà del brand, sull’ “italianità” quale simbolo di qualità per la cottura da incasso che Nardi ha comunque mantenuto alcune posizioni in Russia, Medio Oriente, Australia e America Latina. L’azienda algerina ha certamente fatto un affare. Lo ha riconosciuto Abderrahmane Benahamadi quando ha dichiarato: “Nardi fabbrica una unica tipologia di elettrodomestici, ma lo fa molto bene, con brevetti e un livello internazionale. E la quasi totalità degli apparecchi che verranno prodotti in Algeria verrà esportata grazie al network di distribuzione internazionale di Nardi”. Che avesse brevetti e che godesse di una credibilità di dimensioni internazionali era noto a tutti. Nel cassetto –come si usa dire – aveva parecchie innovazioni e lo sapevano in tanti. Non casualmente Marco Nardi aveva denunciato negli ultimi mesi il furto di sei concept per progetti di elevato contenuto hi tech.

Condor  e Cevital, i giganti algerini

Ma chi è Condor Electronics? Il fondatore comincia a importare negli anni 50 dei primi ricevitori via satellite., poi avvia linee produttive di componenti per tv,  di tv e di climatizzatori. Quindi alla vigilia del boom colossale dei cellulari  il gruppo riceve numerose offerte da multinazionali di cedere tutto.  Offerte che vengono rifiutate e anzi l’attività si allarga alla produzione di smartphone con il lancio del primo smartphpne interamente algerino nel 2013. Comincia anche l’esportazione verso il Nordafrica e l’Europa di schermi LED,  smartphone e di elettrodomestici. Vengono sempre di più differenziate le attività industriali  e si aggiungono così settori come l’edilizia, l’informatica, l’agroalimentare i trasporti e la logistica. La conglomerata fattura più di 514 milioni di euro con 6.500 addetti  e con un’esportazione diretta verso 50 paesi. Condor è uno dei big algerini cresciuti molto rapidamente negli ultimi decenni; tra questi anche la Cevital che  nel 2014 aveva acquisito le acciaierie di Piombino che dopo anni di stallo, dovette cedere all’indiana Jindal. Ma Cevital ha alle spalle qualche altro intoppo. Che ci riguarda da vicino perché nel 2014 assorbì Fagor Brandt, i resti dell’impero del bianco Brandt Electromenager-Moulinex dei fratelli Nocivelli, fallita, e acquisita da un gruppo israeliano che la smembrò e che poi la vendette alla spagnola Fagor. Che, a sua volta, ridotta a sopravvivere con quote di mercato  minime, venne  comprata da Cevital che avrebbe dovuto rilanciarla ed evitare la chiusura delle fabbriche francesi. Oggi,  le fabbriche Brandt sono in Algeria. La  delocalizzazione comincia a  prendere la strada del Nord Africa dove  la presenza di una classe media e di una popolazione sempre più istruita, crea le condizioni migliori per fabbricare in loco i beni di consumo.

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