Se la comprano due fondi miliardari, ma la Bialetti tornerà a essere davvero made in Italy?

30/03/25 - 3 minuti di lettura

Tutte le voci che attribuivano al fondo cinese Nuo Capital -al 50% di Exor e 50% di Stephen Cheng- e che parevano solo voci, in realtà sembra che si stano rivelando vere. Il fondo cino-milanese avrebbe manifestato infatti l’intenzione di rilevare la Bialetti Industrie, chiudendo l’operazione anche con il sostegno di alcune banche italiane. E battendo sul filo il gigante mondiale degli small appliances, la francese SEB, #GroupeSeb. Ma la stessa De’Longhi, incoronata come la n.1 della qualità mondiale delle macchine espresso, era stata indicata tra gli aspiranti compratori.  Come ha scritto il Messaggero, il fondo intende investire nell’operazione per il 49,5 per cento, da suddividere a metà con la Exor, #ExorAgnelli. Manca poco al 30 aprile, quando la Bialetti deve trovare nuovi investitori per salvarsi e affrontare un debito di 123,3 milioni.

Moda e moka-L’altro investitore, a pari impegno, è la Jakyval, società lussemburghese della famiglia Guerrand Hermès mentre l’1% sarebbe dei manager. A vincere in questa corsa a comprare un brand ancora di grande impatto, riconducibile, nonostante le lunghe crisi di questi ultimi decenni, al made in Ital ancora celebre, sarebbe dunque un gruppo che opera nell’alta moda. E che possiede società del miglior made in Europe del lusso. Hermès International, infatti produce borse molto costose  tra cui i modelli celebri come la Birkin e la Kelly, #BorseHermès . 

Ma per produrre dove?- Il prezzo è stato fissato a 170 milioni di euro mentre i costi generali  sono di 5 milioni. Ma, a prescindere da chi comprerà la società controllata dal bresciano Francesco Ranzoni,  il problema centrale è che i nuovi proprietari dovranno investire parecchio per tener conto di quanto stabilito dal Tribunale di Brescia nel 2021, nell’approvare il Nuovo Accordo di Ristrutturazione. Come è stato deciso dal Tribunale, per rimettere in sesto i conti della Bialetti occorre che l’azienda si ri-focalizzi ssolo sul core business di origine –le caffettiere.- e torni a produrre in Italia, chiudendo, tra l’altro la fabbrica in Romania. Perché –e lo sanno bene gli esperti della famiglia Agnelli cui fa capo Exor e gli oculati investitori del miliardario fondo Guerran Hermès- il valore del brand tornerebbe a creare fatturati e profitti in quanto fabbricato in Italia, secondo i requisiti del vero made in Italy.

Dalla Cina e dalla Romania-Ormai da decenni le moka venivano prodotte in Cina e poi in Romania in una vecchia fabbrica di pentolame, secondo standard ben lontani da quello che gli utenti in tutto il mondo si aspettavano e si aspettano. Da anni la società, che aveva differenziato investimenti e  prodotti, spesso in operazioni non redditizie, perdeva quote di mercato. E’ importante sapere che sino al 2022 circa 3 milioni venivano assemblate, a Ormassano nel distretto di Verbania-Cusio-Ossola, provenendo dalla Cina e dalla Romania da personale della Cooperativa Azzurra per conto della Atena di Gianni Vittoni.

Tornare al distretto di eccellenza-Il sito è esattamente quello originario dove nacque la mitica macchinetta dell’omino coi baffi e quando Francesco Ranzoni acquisì la Bialetti, lo dismise vendendolo poi a Vittoni che oggi, con il suo brand Mokavit, #Mokavit, qui sforna le collezioni custom di moka personalizzabili, realizzate grazie a linee automatizzate e a finiture di stampo artigianale. La Mokavit e il distretto con i suoi fornitori sono gli eredi di quella secolare tradizione di abilità artigianali e industriali di grandissimo successo nei settori dei casalinghi e della rubinetteria. E gli unici in possesso di quel “saper fare” italiano che solo la concorrenza di basso prezzo ha messo in crisi.

Condividi su
Newsletter

保拉家 La Casa di Paola

Il blog di Paola Guidi